Cinema & Spettacolo
Recensione: The Social Dilemma su Netflix
Federico Mazzi 11/04/2023
Recensione del docufilm The Social Dilemma su Netflix, “Come fai a svegliarti da Matrix se non sai di essere in Matrix?” Il Docufilm ‘The Social Dilemma’ di Jeff Orlowsky del 2020 pone l’attenzione su uno dei più grossi pericoli che stiamo vivendo nelle nostre quotidianità: l’influenza dei social network. Con un documentario investigativo dalla fotografia […]
Recensione del docufilm The Social Dilemma su Netflix, “Come fai a svegliarti da Matrix se non sai di essere in Matrix?”
Il Docufilm ‘The Social Dilemma’ di Jeff Orlowsky del 2020 pone l’attenzione su uno dei più grossi pericoli che stiamo vivendo nelle nostre quotidianità: l’influenza dei social network. Con un documentario investigativo dalla fotografia molto asciutta, luminosa e “metallica” che si alterna a scene di dramma narrativo, il 39 enne regista di Staten Island, ci mostra gli effetti della dipendenza dai Social in Ben, un adolescente interpretato da Skyler Gisondo (già apprezzato nel recente Liquorice Pizza, film del 2021 di P.T. Anderson).
In parallelo, vediamo le testimonianze di ex numeri uno di Google, Facebook, Twitter, che dimostrano quale sia la reale strategia delle grandi aziende di Big Tech: catturare la nostra attenzione.
In realtà questo è l’obiettivo perseguito dalla pubblicità e dai media già da parecchi anni, ma qui viene rivelato come la tecnologia sviluppata negli ultimi decenni abbia accelerato e approfondito lo scavo nei nostri “tubi neurali”, per trovare le “tane del bianconiglio” di ognuno di noi, porzioni della nostra mente che neppure conosciamo. Secondo le rivelazioni di Tristan Harris, scopriamo che i corsi di Tecnologia della persuasione da lui seguiti alla Stanford University hanno insegnato a lui, come a gran parte dei suoi colleghi, ad unire la psicologia della persuasione alla tecnologia: il rinforzo positivo intermittente, tipico dei giocatori di slot-machines è stato applicato all’uso degli smartphones.
Frasi ad effetto che compaiono a tutto schermo vengono alternate alle interviste e alle scene in fiction: “Una tecnologia sufficientemente avanzata è indistinguibile dalla magia” e guarda caso Tristan ci racconta che a 5 anni aveva già scoperto la sua passione per i corsi di magia.
Lui, come molti altri intervistati, ammette di avere lavorato intensamente allo sviluppo delle varie app con le migliori intenzioni, ma di essersi reso conto di averne perso il controllo.
Gli algoritmi hanno dimostrato di essere sempre più efficaci ed autonomi, nello scandagliare le nostre vite, i nostri bisogni e le nostre abitudini.
Come già in un recente scritto di Alessandro Baricco dal titolo The Game, veniva tracciata la parabola evolutiva della tecnologia, a partire dall’invenzione dei primi pc nei garage della California, spinti dalle migliori intenzioni “frikkettone” di rivoluzione culturale che si voleva contrapporre all’establishment dell’epoca, anche qui vediamo che ad un certo punto i grandi gruppi imprenditoriali hanno preso il sopravvento, con l’unico obiettivo di arricchirsi in modo esagerato senza dover sottostare ad alcuna regola.
Il tecno-guru Jaron Lanier, ci mette in guardia dai meccanismi utilizzati da Facebook, come dagli “scelti per te” di Youtube, mostrandoci quanto l’attenzione di ognuno di noi sia in realtà il prodotto venduto alle grandi società, trasformandoci in zombie-bambole voodoo digitali che vengono fatte proliferare come strumenti di calcolo, in sterminate strutture di matrixiana memoria.
Ecco così svelati i meccanismi che alimentano fake news, terrapiattisti, pizzagate, divisioni politiche sempre più forti ed il peso eccessivo che la Generazione Z sta pagando, loro che sono nati già immersi in questa realtà tecnologica e hanno sviluppato inconsciamente una dipendenza della quale non si rendono neppure conto: il “ciuccio digitale” acquieta temporaneamente le loro ansie, con rilascio di dopamina, ma la popolarità transitoria dei like viene confusa con il valore e la verità, creando depressione e fragilità.
Ed ecco che gli intervistati ammettono di aver inventato meccanismi che creano dipendenze compulsive, paragonabili a quelle vissute con gli stupefacenti, e non a caso alcune sequenze dal montaggio molto rapido prendono spunto da quelle di Requiem for a Dream, film del 2000 di Darren Aronofsky, dove Jared Leto e Jennifer Connelly vengono risucchiati in un vortice di droga e devastazione.
Vedendo il documentario viene anche il dubbio che qualcosa non ci sia stato rivelato, perché Netflix è pur sempre una piattaforma ufficiale, che lavora grazie agli algoritmi di cui sopra, ma inevitabilmente gli effetti sono sotto i nostri occhi quotidianamente ed è difficile ignorarli.
Una frase riportata da un giovane Steve Jobs equipara l’invenzione del pc a quella della bicicletta, definendoli “strumenti”, che avrebbero migliorato la vita dell’essere umano. La differenza che viene evidenziata dai protagonisti di questa narrazione è che lo “strumento” AI che governa gli algoritmi, prolifera in modo autonomo, senza avere alcun limite nel conoscere a fondo i nostri gusti e desideri, ci studia non per trovare delle cure a malattie come il cancro, ma solo come cavie a cui i grandi gruppi economici possano fare l’offerta giusta ed irrinunciabile.